E quindi che succede ora con il proporzionale? (ParaPol #3)
Questa settimana potrebbe essere ricordata come quella in cui si è trovato l’accordo per la legge elettorale che spalanca le porte alle elezioni in autunno. Oppure come quella in cui le cose si sono incasinate terribilmente tanto da non venirne più a capo. O forse come quella in cui si è celebrato il passaggio dal maggioritario al proporzionale che è un cambiamento molto più grande di quello che sembra. Si parla di un testo condiviso, ci sono delle evidenti accelerazioni, ma le cose sono tutt’altro che definite e risolte. Quindi calma.
Dopo che nella scorsa settimana c’era stata un’accelerazione verso il voto a ottobre, è successo che tutte le principali forze politiche si sono accordate su uno schema di legge elettorale. E’ stato definito modello tedesco, ma con il modello tedesco, in realtà, ha poco a che fare. E’ più che altro un proporzionale puro con un sistema un po’ complicato per eleggere i parlamentari. Il Pd martedì ha fatto una direzione nella quale ha accettato questa legge che dalla prossima settimana sarà discussa alla camera.
Se ci fosse la volontà politica potrebbe essere approvata davvero entro luglio e a quel punto le elezioni in autunno si avvicinerebbero per davvero. Ma il diavolo si nasconde nei dettagli e in una legge elettorale sono talmente tanti che può ancora succedere di tutto.
Senza entrare nei dettagli, che cambieranno probabilmente altre mille volte, due sono le questioni da tenere presente: il fatto che sia una legge proporzionale e quindi le alleanze si dovranno fare in parlamento (quindi sparirà per sempre la bislacca categoria fantapolitica del “governo-eletto-dal-popolo”) e lo sbarramento al 5%: chi prende meno del 5% sta fuori dal parlamento.
Stando ai sondaggi attuali solamente quattro partiti (Pd, M5s, Lega e Forza Italia) entrerebbero in parlamento. Ma la legge elettorale è importante anche perché cambia anche l’atteggiamento degli elettori. Il Pd e il M5s, le forze che attualmente si contendono la maggioranza relativa, non avrebbero i numeri per governare da soli. Per quanto riguarda il Pd l’unico alleato possibile sarebbe Berlusconi, un’ipotesi che sarebbe un’arma di campagna elettorale potentissima in mano a M5S e alla sinistra che, unendosi e rispolverando l’antiberlusconismo che in certi ambienti ha sempre presa, potrebbe serenamente superare il 5%, impoverendo il risultato del Pd. Questo tema funziona anche se visto allo specchio: è probabile che una buona fetta di elettorato berlusconiano, contrario ad un’alleanza col Pd, voti Lega o Fratelli d’Italia.
Senza contare che l’approvazione di una legge elettorale non porta automaticamente allo scioglimento delle Camere che è una prerogativa del Presidente della Repubblica. Mattarella è ben consapevole che con una legge elettorale proporzionale fare un governo dopo le elezioni sarà molto faticoso. E se entro il 31 dicembre l’Italia non riuscisse ad approvare la manovra economica, in virtù degli accordi europei ci sarebbe un’amministrazione straordinaria che avrebbe alcuni effetti molto pesanti come, ad esempio, l’aumento dell’Iva al 25%.
Il governo Gentiloni va avanti, ma scricchiola sempre di più. Mdp, il movimento degli scissionisti del Pd, lo tiene sotto tiro. Ma anche Area Popolare, il movimento di Alfano, vive da separato in casa con il Pd di Renzi. Nessuno vuole avere la responsabilità di far cadere il governo, perché se poi le cose dovessero andare male, sarebbe una colpa politica che ognuna delle forze che sostengono il governo potrebbero pagare cara.
Questa settimana sarà un po’ interlocutoria anche perché si avvicinano le elezioni comunali dell’11 giugno e che finiranno per avere un effetto anche su questo dibattito, soprattutto in vista dei ballottaggi del 25 giugno, visto che, date le condizioni, è molto difficile che un candidato possa farcela al primo turno se non ha un fortissimo consenso personale in città. Ma le indicazioni che arriveranno dalle urne influiranno anche sulle dinamiche nazionali dei prossimi intensi mesi.
L’altra volta abbiamo parlato delle due città più grandi, Genova e Palermo, stavolta ci trasferiamo nella pianura padana dove in tre città medie, accomunate per essere città con un’economia forte e un’alta qualità della vita, ci sono tre storie molto interessanti da seguire con attenzione.
A Parma si candida per il secondo mandato Federico Pizzarotti, eletto nel 2012 come primo sindaco del Movimento 5 Stelle, poi uscito in polemica con Grillo e i suoi metodi. Se vincesse sarebbe la prima e fin qui unica dimostrazione che un movimento di cittadini può esistere anche senza Grillo. E’ probabile che andrà al ballottaggio dove potrebbe trovare il candidato del centrosinistra, Paolo Scarpa, che cercherà di riconquistare una città dove, anche se siamo in Emilia, il centrosinistra perde sistematicamente da quasi vent’anni. C’è anche un candidato del Movimento 5 Stelle.
A Verona è finita l’era di Flavio Tosi, sindaco leghista, anche lui uscito dalla Lega Nord in polemica con il leader, che ha fatto due mandati e non si può ricandidare. Al suo posto c’è la sua compagna, la senatrice Patrizia Bisinella che però, per sperare in un ballottaggio dovrà arrivare almeno seconda. La concorrenza è agguerrita. Il centrodestra candida l’ex assessore di Tosi Fabrizio Sboarina (ex An), mentre il centrosinistra si affida alla renziana Orietta Salemi che ha vinto le primarie. E’ candidato a sindaco, però anche l’ex capogruppo Pd Michele Bertucco, uscito dal partito, che potrebbe portarle via voti. Rincorre il Movimento 5 Stelle col suo candidato Alessandro Gennari, che spera di approfittare delle divisioni degli schieramenti principali.
A Padova la sfida sembra essere fra il leghista ortodosso Massimo Bitonci, già sindaco, ma sfiduciato dalla sua maggioranza nei mesi scorsi e Massimo Giordani, imprenditore sostenuto dal Pd e da una vasta area civica della quale fanno parte anche alcuni ex alleati di Bitonci. C’è il Movimento 5 Stelle, con Simona Borile, ma c’è anche la coalizione civica di centrosinistra, guidata dal professor Arturo Lorenzoni.
Avevamo parlato del nuovo corso molto “grillino” preso, in questi mesi, da una parte della comunicazione social di Matteo Renzi e il Pd, in particolare con la famigerata pagina social Matteo Renzi news. Uno degli amministratori della pagina si è tradito e si è capito un po’ meglio chi la gestisce e chi la anima.
Un po’ di scalpore ha fatto anche una rivelazione di Alfano, ormai in rotta con gli alleati del Pd, che ha raccontato che a febbraio, poco dopo il referendum del 4 dicembre, Renzi gli aveva chiesto di far cadere il governo. Un episodio che racconta un po’ delle raffinate strategie che la politica italiana sta seguendo in questi giorni.
Giovedì si vota per le politiche in Gran Bretagna, mentre domenica ci saranno le legislative in Francia. Probabilmente ci saranno persone che, come avviene ogni volta, azzarderanno degli assurdi paralleli fra la politica britannica e francese e quella italiana. Però capire cosa succederà a Londra e Parigi è importante per capire il futuro dell’Europa, anche se dall’Unione Europea la Gran Bretagna se n’è andata.
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