Arpad Weisz, il profeta del calcio europeo morto ad Auschwitz
La cosa che forse più rattrista di tutta questa vicenda è stata forse però l’oblio in cui è caduta per decenni: ci ha pensato Matteo Marani con ‘Dallo scudetto ad Auschwitz’, un gran bel libro, a riportare alla luce questa vicenda ed a costringere società sportive ed istituzioni pubbliche a ricordare in maniera doverosa questo personaggio, anche per omaggiare il tributo pagato dal mondo dello sport alle persecuzioni razziali.
Weisz, chiuse presto la propria carriera da giocatore, per accomodarsi in panchina: a trent’anni allenava l’Alessandria, da dove passo’ all’Ambrosiana Inter dove, nella stagione 1929-30 arrivò il suo primo titolo italiano. Grande conoscitore del calcio, autore di un celeberrimo manuale, Arpad Weisz si rivelò anche un formidabile talent scout: fu lui, infatti, a scoprire ed a lanciare Giuseppe Meazza.
Ma l’apice della sua carriera Weisz la toccò a Bologna dove arrivò nel 1935 per dare vita ad un biennio nel quale la squadra rossoblù sarà la più vincente d’Europa.
Bologna è stata forse una delle città dove la storia del calcio e quella del regime fascista si sono intrecciate. Merito anche di Leandro Arpinati, ras cittadino fino al 1934, nonché uomo del regime per il mondo dello sport: Arpinati fu infatti presidente della Figc e del Coni e orchestratore dell’assegnazione e dell’organizzazione del campionato del mondo del 1934 all’Italia. A lui si deve anche la discussa costruzione dello stadio di Bologna, il ‘Littoriale’, che ancora oggi, intitolato a Renato Dall’Ara, ospita le partite casalinghe del Bologna.
Fu proprio Renato Dall’Ara, imprenditore reggiano che dette il via ad un trentennio di straordinari successi per i rossoblu’, ad ingaggiare Arpad Weisz.
Nonostante l’approvazione delle leggi razziali fosse ancora piuttosto lontana, il regime fascista non solo non vedeva di buon occhio l’impiego di calciatori stranieri nei tornei italiani, ma era arrivato perfino a metterli al bando, salvo escogitare una fantasiosa e fortunata eccezione, quella degli oriundi, che permetteva ai sudamericani con ascendenze italiane di partecipare al campionato italiano.
La norma, vista nella prospettiva di ciò che sarebbe successo dopo, appare più nazionalista che xenofoba: si sosteneva infatti che sarebbe stato impossibile per giocatori ‘antinazionali’ competere in qualsiasi disciplina dello sport italiano.
Ad alcuni stranieri, tuttavia, venne concesso di lavorare in Italia: il commissario straordinario del Coni, Augusto Turati, disapprovò l’ingaggio di tecnici stranieri e impose alle società che volessero far sedere in panchina un allenatore non italiano, di ottenere una specifica autorizzazione. Fra questi, appunto, Arpad Weisz.
Appena arrivato a Bologna porterà subito i rossoblù al successo con due scudetti consecutivi, nel 1935-36 e nel 1936-37. Era un Bologna che segnava poco, quello di Weisz, ma che aveva una solidità ed una concretezza incredibili. Con i gol di Schiavio, ormai una leggenda dopo il titolo di campione del mondo, e con l’apporto di Biavati, Andreolo e Reguzzoni, diventerà nota e passerà alla storia come la ‘squadra che tremare il mondo fa’.
Il successo più grande è però quello riportato al Torneo dell’Esposizione di Parigi nel 1937. Allora non esisteva la Coppa dei Campioni e la sfida fra le più importanti squadre europee organizzata in Francia, poteva essere considerata come un vero campionato europeo per club: tanto che vi prese parte anche il Chelsea, campione d’Ingilterra, mentre la nazionale, in quel periodo, rifiutava sdegnosamente la partecipazione ai campionati del mondo ritenendosi troppo superiore. Il Bologna si sbarazzò senza troppa difficoltà dei francesi del Sochaux e dei cechi dello Slavia Praga e trovò in finale proprio i maestri del Chelsea.
Il pronostico sembra scontato, ma il Bologna ha Weisz in panchina e sull’ala sinistra Carlo Reguzzoni, il miglior mancino d’Europa, giocatore ignorato dalla nazionale che prima che i maestri se ne rendessero conto aveva già fatto tre gol (e un altro lo aveva segnato Busoni). Alla fine sarà 4-1 ed un trionfo che consacra il Bologna come miglior squadra d’Europa e Weisz come profeta del calcio.
Nel frattempo, però, in Italia si approvano le leggi razziali. All’inizio del campionato del 1938 i giornali sportivi bolognesi annunciano che il Bologna, senza clamori e senza spiegazioni, ha cambiato allenatore: via il plurivincitore Weisz, ritorna Fellsner, austriaco che aveva già allenato i rossoblù.
Arpad Weisz, ebreo e straniero, è costretto a lasciare l’Italia con la la moglie Elena e i due figli Roberto e Clara. Dopo una breve sosta a Parigi, i Weisz si stabiliscono in Olanda, a Dordrecht, dove Arpad allena la locale squadra di calcio. La famiglia Weisz viene però arrestata nel 1942, portata nel campo di raccolta di Westerbork e da lì nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Elena, Roberto e Clara muoiono subito, nelle camere a gas. Weisz sopravvive fino al 31 gennaio 1944.
Bologna, l’Italia, il mondo del calcio, se ne sono dimenticati per sessant’anni: come se due scudetti e una specie di Champions League non contassero nulla, come se una delle più grandi tragedie della storia dell’umanità non avesse toccato il mondo del calcio. Oggi, grazie anche al libro di Marani, una targa nello stadio di Bologna intitolato al presidente che lo aveva assunto ma che non fece (forse non poté) fare niente per salvarlo, ricordano il genio del calcio ucciso dall’umana bestialità.