Giornalisti: l’accordo sull’equo compenso è una porcheria. Facciamo un patto tra generazioni o non ci leviamo le gambe
Ci si potrebbe chiedere come possa un sindacato accettare e sottoscrivere in una trattativa, uno stipendio minimo da 250 euro per la parte più debole della propria categoria, quella cioè che più di ogni altra avrebbe bisogno di essere difesa.
Così a me è venuto un bruttissimo e cattivissimo pensiero, che sicuramente sarà frutto della mia sola perfida fantasia.
Sarà, infatti sicuramente un caso, che questo accordo, dopo che la legge sull’equo compenso esiste, inapplicata, da tempo, arrivi in concomitanza del rinnovo del contratto.
E sarà sicuramente un caso che il vertice della Fnsi abbia delle grossissime preoccupazioni sulla tenuta del consenso dei propri iscritti, che da anni, vedono falcidiate le loro redazioni con prepensionamenti selvaggi e poche gratificazioni per chi rimane.
E sarà sicuramente un caso che uno dei casi più controversi del rinnovo del contratto sia la vicenda della fissa.
(Che diavolo è la fissa?)
La fissa è un istituto di quelli che possiamo tranquillamente includere fra i privilegi di cui godono i giornalisti. E’ una specie di liquidazione-bis che viene data ai giornalisti che se ne vanno in pensione. Siccome negli ultimi anni di giornalisti ne sono andati in pensione moltissimi, il fondo è diventato insostenibile per le aziende e nel contratto la Fieg vorrebbe rivedere fortemente, o meglio ancora smantellare, questo contributo.
Per stessa ammissione del sindacato, è questo il punto su cui è più difficile trovare un accordo. La Fnsi vorrebbe ‘salvare’ la fissa (sia pure fino a un tetto di 65mila euro e con una rateizzazione di 15 anni) per i giornalisti che hanno maturato almeno 15 anni di anzianità aziendale. Per gli altri i soldi che vengono investiti in questo fondo sarebbero investiti nella previdenza complementare, cosicché le aziende non si troverebbero a dover pagare un salasso quando un loro dipendente va in pensione. Gli editori, ovviamente, non vogliono nemmeno sentirne parlare.
Non vogliono sentirne parlare perché considerando che la stragrande maggioranza degli assunti hanno un’anzianità aziendale superiore ai 15 anni e che molti di loro nei prossimi dieci-quindici anni se ne andranno in pensione il costo che dovrebbero sostenere sarebbe pesantissimo.
D’altronde il sindacato ha come unica possibilità di salvare la propria faccia nei confronti di una platea di iscritti imbufaliti (anche per la scarsa trasparenza con cui è stata condotta questa trattativa) e di non vedersi respingere un eventuale accordo in un referendum (visto che la stragrande maggioranza di quelli che, dentro le redazioni, sarebbero chiamati a votare per un referendum hanno più di 15 anni di anzianità) quella di salvare, in qualche modo la fissa. A tutti i costi.
Ecco, appunto, a tutti i costi.
Quindi sarà sicuramente un caso che l’accordo sull’equo compenso sia arrivato a cavallo della trattativa sul nuovo contratto.
E’ chiaro che un contratto con il sangue della parte più debole, più povera e meno difesa della categoria non può essere firmato. Non solo perché non è giusto, ma anche perché è distruttivo per tutto il sistema. Con un pezzo di chi fa questo mestiere che guadagna – sistematicamente, legalmente e istituzionalmente – circa dieci volte meno di un altro pezzo, credo che non ci sia bisogno di spiegare perché.
Da un punto di vista sindacale, qui si rischia di creare un tutti contro tutti che sarebbe deleterio. Mi permetto di dirlo dalla posizione di uno che, per sua fortuna, ha i diritti e i privilegi degli assunti a tempo indeterminato, ma l’età di molti dei colleghi che vedono come prospettiva per i prossimi anni quella di guadagnare 250 euro al mese e che il precario sottopagato lo ha fatto per anni, quindi sa di cosa si parla.
Per questo serve un patto tra generazioni.
Rinunciamo, sul tavolo della trattativa, alla fissa.
Lo so che questa proposta farà incazzare la totalità dei colleghi che hanno almeno dieci anni più di me che su questi soldi magari ci hanno già fatto i conti per trascorrere una pensione più serena o per compensare quelli che perderanno in caso di un prepensionamento.
Ma lo si prenda non solo come un sacrificio personale per garantire un’esistenza più dignitosa ai colleghi più giovani, ma anche come un investimento sul futuro di questo sciagurato e meraviglioso mestiere, per quelli ideali che ognuno di noi aveva, che in qualche caso ha perso in qualche altro no, quando ha cominciato. Un investimento, scusate la retorica, che si fa sulla democrazia in Italia.
In cambio pretendiamo che chi lavora venga pagato in maniera dignitosa, sempre, senza eccezioni. Troviamo insieme i modi, le formule e le condizioni. L’ipotesi di un salario d’ingresso, con tutele inalterate, sia pure con un ricorso regolato e circostanziato ai contratti a termine, ma a stipendio crescente, ad esempio, a me, a differenza di quello che sostengono i coordinamenti dei precari, sembra un compromesso accettabile su cui vale la pena ragionare. D’altronde quante assunzioni sono state fatte in Italia negli ultimi cinque anni?
Quindi manteniamo la calma.
Io voglio continuare a credere che questo mestiere è fatto da persone che non baratteranno l’idea di comprarsi la macchina nuova quando andranno in pensione con la prospettiva di lasciare terra bruciata dietro di loro. Perché questo mestiere non lo facciamo per gli altri, ma perché crediamo che una società più informata sia una società più giusta. O no?
+++AGGIORNAMENTO+++
Stamattina, 24 giugno, è stato firmato il contratto dei giornalisti. Che tiene dentro l’accordo sull’equo compenso (250 euro al mese) e salva la fissa (con un tetto di 65mila euro) per chi ha almeno 15anni di anzianità aziendale. Amen