Il momento esatto in cui ci siamo arresi
Quando abbiamo, cioè, deciso che pretendere “disciplina ed onore” (articolo 54 della Costituzione) ai nostri rappresentanti era fatica sprecata. In quel preciso istante abbiamo, tutti insieme, deciso che era più saggio screditarli a prescindere, far loro dei piccoli dispettucci, togliere qualche spicciolo, segare le gambe a qualche seggiola.
Tutte le volte che si dà una botta alle istituzioni l’opinione pubblica esulta.
La riforma della seconda parte della Costituzione è un passo auspicato da decenni. Avere due camere che fanno esattamente lo stesso lavoro e che, soprattutto, votano entrambe la fiducia al governo, è un meccanismo che non risponde più alle esigenze dell’Italia. Questo però non toglie che le modifiche alla Costituzione vadano fatte con grandissima cura. Perché la Costituzione non contiene solo le regole con le quali funziona il paese, ma contiene anche un programma di governo condiviso, un obiettivo al quale tendere tutti insieme.
Che senso ha avere un Senato dove chi vi siede non ha un’indennità, deve sottrarre tempo ad impegni amministrativi e non conta praticamente niente?
Siamo sicuri che il principio migliore a cui ispirare il governo del territorio sia quello di avere il minor numero possibile di persone che se ne occupano?
Il fatto che alcuni consiglieri regionali abbiano combinato cose indecorose e che il principio fosse sostenuto dalla Lega Nord, può bastare per imprimere allo Stato una svolta neo-centralistica, buttando completamente l’idea del federalismo, sul quale qualche anno fa c’era un consenso vasto e generalizzato per avvicinare la spesa al territorio e responsabilizzare i governi locali?
Diceva Piero Calamandrei che le costituzioni sono anche delle polemiche, “negli articoli delle costituzioni c’è sempre, anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica. Questa polemica, di solito, è una polemica contro il passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime”.
Nella formulazione della Costituzione entrata in vigore nel 1948 c’è una fortissima polemica contro il fascismo. Nella riforma presentata dal governo c’è una polemica altrettanto forte contro quello che è successo negli ultimi anni, contro le ruberie, contro il malaffare, contro le malversazioni, il malcostume e lo spreco di denaro pubblico. Dei quali però siamo tutti, in quota parte, colpevoli: nell’aver cioè allentato al nostro dovere di pretendere “onore e disciplina”, confermando o revocando ai nostri rappresentanti un consenso informato. Una polemica contro noi stessi, a guardar bene. Una polemica contro un comportamento, non contro una forma di governo.
Diceva sempre Piero Calamandrei che nella Costituzione sentiva delle voci lontane. Sentiva le voci di Mazzini, di Cavour, di Garibaldi, di Cattaneo. Il tentativo di Renzi di cambiare la Costituzione io vorrei sostenerlo e difenderlo perché è la direzione che va intrapresa e dietro alle resistenze che sono emerse ci vedo soprattutto la volontà di conservazione di piccoli privilegi di un sistema che ha smesso di funzionare. Ma non vorrei che alle voci che sentiva Calamandrei si aggiungesse quella di Beppe Grillo.