La storia del buonismo
Questa, ovviamente, non è la storia del “concetto” di buonismo, perché è un concetto inesistente, utile solo a strumentalizzare qualsiasi discorso. Questa è la storia della parola “buonismo”, o perlomeno di come questa è entrata a far parte e ha condizionato il dibattito pubblico, politico in primis.
Per cercare di ricostruirla ho utilizzato uno strumento straordinario, ovvero il DEA, che sta per Documentazione Elettronica Ansa e che è una vera dea della memoria perché permette di ritrovare tutto quello che l’Ansa ha scritto nella sua storia, facendo ricerche per data, per parola e tutto il resto. E quindi è una fonte particolarmente significativa, perché l’Ansa riporta anche il dibattito politico dalle dirette parole dei protagonisti. E quindi è particolarmente interessante vedere come questa parola, buonismo, si sia evoluta, proprio dalla viva voce dei suoi utilizzatori.
Quando è nato il buonismo
Si può dire che il buonismo abbia una data di nascita precisa: il 1995. Il primo governo Berlusconi era caduto da poco e a Palazzo Chigi c’era Dini. Ma già c’era aria di elezioni. Il Pds (erede del Pci) stava cercando di riprendersi dalla sconfitta dell’anno precedente e per provare ad andare per la prima volta al governo, con un accordo fra i due suoi leader più importanti, il segretario Massimo D’Alema e Walter Veltroni, aveva deciso di puntare su un ex democristiano come Romano Prodi.
E’ in quest’anno che la ricerca del buonismo fornisce i primi risultati di ricerca. La prima traccia che se ne trova nella ripresa di un editoriale di Barbara Spinelli sulla Stampa. S’intitola ‘Nasce maniere pulite’ e fu pubblicato il 14 maggio 1995.
‘’Adesso siamo alla fase del buonismo o delle belle maniere — la fase dominata dai sorrisi benevoli di Prodi, di Veltroni — e solo apparentemente essa nasce da un rifiuto annoiato dell’epoca violenta di Mani pulite. Il bisogno di pulizia resta invece, solo che dall’etica politica si trasferisce all’estetica, al gusto, alla ginnastica dello stile. Dall’essere si trasferisce alle maniere dell’essere e diventa raffinatezza, nuova cortesia: diventa politezza, politesse’’.
Questo ovviamente non vuol dire che la parola buonismo l’abbia inventata Barbara Spinelli, ma ci fa capire alcune cose significative: intanto che questa parola ha due padri putativi (Prodi e Veltroni) che torneranno spesso anche in futuro, ma anche che non fa riferimento a immigrati, rom e delinquenza spicciola e nasce nel milieu culturale della sinistra italiana. Il buonismo del 1995 è già una parola usata in maniera molto critica (infatti l’editoriale della Spinelli è una feroce critica a Prodi e a Veltroni) ma si riferisce a un atteggiamento di bontà dissimulata, soprattutto ad uso e consumo dei media, che in realtà nasconde una lucida spregiudicatezza.
Che quella del 1995 sia una data abbastanza attendibile per segnare la nascita del buonismo, lo si desume anche dalla presentazione (sempre nel notiziario generale dell’Ansa) di un libro pubblicato da Silverio Novelli e Gabriella Urbani per raccogliere i neologismi della seconda repubblica. Il testo della notizia ne presenta alcuni e si conclude dicendo che i due stanno continuando a lavorare per raccogliere nuovo materiale (e che evidentemente non hanno fatto in tempo a mettere nel libro del 1995): fra le parole sotto attenzione c’è, per l’appunto, buonismo.
Quasi contemporaneamente al sostantivo buonismo, nasce l’aggettivo buonista. La ricerca dei tre termini buonismo-buonista-buonisti dà, nel 1995 36 risultati. L’accusa di essere buonista fa sempre parte dei rapporti politici, con alcune definizioni che con l’uso che di questa parola si fa oggi sembrano ridicole e fuori contesto.
Il 9 ottobre 1995, per esempio, D’Alema discuteva di riforme. (eh sì, nel 1995 c’era D’Alema che diceva a tutti come si dovevano fare le riforme, ma questa è un’altra storia).
Il Pds, secondo D’Alema, nei confronti della destra deve tenere
una linea ne’ rinunciataria ne’ scioccamente ‘buonista’, ma responsabile e
seria.
Quasi profetica l’intervista di Giampaolo Pansa fatta a Prodi alla festa dell’Unità di Reggio Emilia il 10 settembre 1995. Si sta parlando ci come battere la destra.
‘’Non dimenticate che il nostro obiettivo — dice Prodi — e’ battere la destra’’. Allora, afferma Pansa, ‘’non si puo’ essere buonisti, ci vuole cattiveria’’. Non credo, serve sempre — ribatte Prodi — essere gentili, educati, l’ importante e’ non cedere sulla sostanza delle cose’’.
Il buonismo del 1995 è insomma una cosa molto diversa da quello del 2017. Anche se ci fu un linguista preveggente o comunque uno che ha capì prima di tutti che è in un altro ambito che il termine buonista può produrre i frutti migliori.
Si tratta di Francesco Tabladini, poco più che cinquantenne senatore bresciano della Lega Nord e capogruppo a Palazzo Madama. Qualche anno dopo (prima di morire giovanissimo per un tumore) litigò furibondamente con Bossi che lo espulse dalla Lega. Ma intanto, a proposito di immigrazione diceva che bisogna spedire immediatamente “a casa loro” (altra espressione ci diventerà fortunatissima) gli immigrati che commettevano reati. E argomentava:
E’ vero come dicono i ‘buonisti’ che i criminali ci sono anche tra i cittadini italiani, ma e’ altrettanto vero che, come risulta dai dati del ministero dell’Interno, gli extracomunitari delinquono in misura 6 volte maggiore rispetto alla popolazione che li accoglie.
Tabladini aveva tracciato una strada.
Sviluppo e fortuna del buonismo
Dai 36 risultati del 1995, si passa velocemente agli 85 del 1996, agli 88 del 1997, ai 111 del 1998, ai 116 del 1999 ai 157 del 2000. L’uso di questa parola è molto cresciuto, grazie soprattutto a Walter Veltroni al quale si appiccia addosso quasi come un epiteto formulare, il “buonismo veltroniano”. Che, però, ha ancora poco a che vedere con quello di oggi.
C’è però un altro personaggio che ne intuisce le potenzialità: a settembre 1996, quando il termine non era ancora così diffuso, Antonio Ricci, presentando la nuova stagione di Striscia la Notizia, dice di non voler dare tregua a nessuno, soprattutto al “buonismo”, qualunque cosa volesse dire.
Il boom, la consacrazione e, in una certa misura anche la sua mutazione, avviene negli anni del secondo governo Prodi. I record di ricerca sul Dea si impennano a 223 nel 2006, al record di 305 nel 2007, a 275 nel 2008.
Il buonismo del 2007, a differenza di quello del 1995, ha ormai assunto un chiaro connotato anti-immigrati, uno degli argomenti più utilizzati dall’opposizione proprio contro il governo Prodi.
Dice, ad esempio, nel dicembre 2007, Isabella Bertolini di Forza Italia a proposito del contrasto alla criminalità:
Concetti incompatibili con il buonismo della sinistra radicale che condiziona le scelte del governo. I fatti parlano chiaro: gli Italiani sono governati da un esecutivo che preferisce sacrificare la loro sicurezza pur di rimanere a galla.
O il sindaco di Milano Letizia Moratti che quelle sulla sicurezza del governo Prodi
sono politiche ispirate a un buonismo che sul problema dell’immigrazione non tiene assolutamente conto della necessita’ di coniugare diritti e doveri.
Con la fine del governo Prodi la fortuna mediatica del termine declina progressivamente: 215 nel 2009, 154 nel 2010, 110 nel 2011, 77 nel 2012, l’anno in cui nasce il governo Monti. Se ne parla sempre soprattutto a proposito di immigrazione: ma essendo un termine denigratorio ne ricorre a piene mani soprattutto il centrodestra quando si trova all’opposizione.
Il presidente del consiglio Mario Monti lo usa, senza riferirsi agli immigrati (ma un po’, nemmeno troppo vagamente, a Romano Prodi).
Non tocca dire a me se il mio governo ha un cuore buono, ma invito gli italiani a tener conto che se l’Italia e’ ridotta un po’ male e’ perche’ i governi italiani per decenni hanno avuto il cuore troppo buono, diffondendo buonismo sociale.
Il buonismo oggi
Quando il centrodestra, soprattutto la Lega Nord, torna all’opposizione, l’uso della sostantivo “buonismo” e dell’aggettivo “buonista” torna a decollare, grazie anche a Matteo Salvini che gli dà un notevolissimo contributo nell’uso e alla presidente della Camera Laura Boldrini che di fatto espropria Veltroni dell’epiteto formulare diventando, nella polemica pubblica, il capo di tutti i buonisti. E che prova anche a ribaltarne l’utilizzo.
Vorrei che non fossimo buonisti nei confronti di chi semina odio, perche’ essere troppo buonisti significa essere complici.
Il 2015, come si vede nel grafico qui sopra, è l’anno record dell’uso di questa parola con 328 record. E’ parecchio usata nell’immigrazione, ma anche a proposito del terrorismo internazionale, secondo il ragionamento che quando scoppia una bomba da qualche parte è colpa dei buonisti che non hanno voluto arrestare il potenziale terrorista prima che diventasse tale.
Nel 2016 c’è stato un leggero calo: 268.
Il 2017 è cominciato in linea con l’anno precedente. Nei primi sei mesi i record sono, infatti 132. Considerando che abbiamo davanti una campagna elettorale io sono piuttosto fiducioso che non solo si potrebbe superare il 2016, ma con un po’ di impegno si potrebbe anche andare a caccia del record del 2015.