Ecco perché sulle Province sta per scoppiare un casino tremendo
Questa affermazione è diventata, negli ultimi anni, una sorta di mantra della politica italiana sulla quale sembravano tutti d’accordo. Non senza tutta una serie di ragioni valide e logiche: aumentare i centri di potere sul territorio spesso complica le cose e crea tutta una serie di ostacoli burocratici di cui si potrebbe fare a meno. Senza contare il risparmio, più simbolico che risolutivo, degli stipendi di presidenti e assessori.
Ma si tratta di un tema scivolosissimo, sia dal punto di vista pratico sia da quello psicologico, tanto che gli ultimi due governi su questo aspetto ci si sono fatti male.
Oltre agli ovvi motivi di gestione del potere territoriale (tema troppo spesso sottovalutato nelle dinamiche che portano a scelte politiche nazionali) c’è da tener conto di un altro aspetto: se la Provincia (intesa come ente) è considerata poco utile, la provincia (intesa come definizione territoriale) è l’ambito più reale che ci sia nel nostro paese: la storia italiana è tutta fondata sul rapporto fra la città e il suo “contado” e non è un caso se moltissime organizzazioni della società civile (partiti, sindacati, associazioni di categoria) sono fondate proprio su scala provinciale.
Il ddl Delrio pareva aver trovato un buon compromesso: le Province rimangono (anche per non creare vuoti normativi o indigeribili accrocchi geografici) ma decadono i loro organi. Diventano cioè enti di secondo livello, una sorta di associazione dei Comuni governata dai sindaci, ai quale decidere, d’intesa con le Regioni, quali servizi delegare.
Dopo l’approvazione alla Camera, il ddl è impantanato al Senato, dove è ingarbugliato con la legge elettorale, bloccato da una serie di veti incrociati, ostruzionismi e opposizioni più o meno latenti.
Il casino scoppierà perché il tempo stringe.
Entro i primissimi giorni di aprile (la legge parla di 55 giorni) il ministero dell’Interno dovrà convocare le elezioni amministrative, che saranno il 25 maggio, insieme alle Europee. Vanno al voto 4mila Comuni e, se il ddl non sarà approvato in tempo, anche una cinquantina di Province, alle quali, teoricamente, se ne aggiungerebbero un’altra ventina che sono state commissariate negli anni scorsi.
Se, nei prossimi dieci giorni, il Parlamento non approverà il ddl (che quasi inevitabilmente dovrà poi tornare alla Camera per le inevitabili modifiche) il ministero dell’Interno sarebbe teoricamente tenuto a convocare le elezioni anche per le Province.
In realtà sul tema c’è dibattito: la legge di stabilità, infatti, prevede, come successo l’anno scorso, che in attesa di una formale abolizione delle Province dalla Costituzione, le Province che vanno a scadenza siano commissariate. Tuttavia molti Tar hanno già dichiarato illegittimo il commissariamento e alcune Regioni hanno annunciato di ricorrere alla Corte Costituzionale. Il governo e il ministero dell’Interno (guidato dal leader di un partito, il Nuovo Centrodestra, che non è fra i principali fan del ddl Delrio) potrebbero essere, insomma, in imbarazzo a varare un decreto di commissariamento che riguarda circa tre quarti delle Province italiane. Ma ancora più in imbarazzo ad indire un’elezione per enti con una ravvicinatissima data di scadenza.
Se venissero indette le elezioni, insomma, in moltissime contrade d’Italia i partiti saranno costretti a cercare persone disposte a candidarsi ed impegnarsi in una campagna elettorale per una carica che potrebbe durare un anno o anche meno. E convincere i propri elettori a votarli per una cosa che, molto probabilmente, servirà a poco.
Completa il quadretto un’incertezza complessiva che riguarda i Comuni che vanno al voto: dai più grandi (il percorso delle città metropolitane sarà rimandato un’altra volta) ai più piccoli. Quelli sotto i tremila abitanti, a due mesi dalle elezioni, non sanno se avranno un consiglio composto da sei (come dice la legge attuale) o da dieci componenti (come prevede un emendamento al ddl). Quelli sotto i mille abitanti non sanno se avranno o meno la giunta.
Dulcis in fundo, visto che il ddl Delrio è legato a doppio filo all’approvazione della legge elettorale ed alle riforme istituzionali, temi su cui non solo il Governo si è impegnato a tal punto da metterci in palio la propria faccia, ma su cui si fondano anche le alleanze con la maggioranza per l’esecutivo e quella con Forza Italia per le riforme, ecco perché il pericolo più grosso per il Governo, al momento, sembra arrivare ancora una volta dalle innocue, inutili e bistrattate Province.