Canne e slot machine, tasse e tabù
Il carattere complessivo di una società si capisce anche dai suoi tabù.
Il dibattito che, negli ultimi giorni, ha attraversato trasversalmente il gioco d’azzardo e la legalizzazione della marijuana ne è un esempio.
Ci sono alcune cose che fanno male: le sigarette, gli alcolici, il gioco d’azzardo e le canne. Alcune di queste sono regolamentate e tassate dallo Stato, per altre, come nel caso delle droghe, si usa un approccio proibizionista, lasciando di fatto il mercato (che è immenso) in mano alla criminalità.
La lenta e progressiva liberalizzazione del gioco d’azzardo è avvenuta, direi a occhio e croce negli ultimi dieci anni, senza che questa sia stata accompagnata da un adeguato dibattito pubblico. L’opinione pubblica ha, di fatto, sottovalutato il fenomeno accorgendosi che questo potesse diventare un problema (legato alle dipendenze, alla quantità inimmaginabile di soldi che ogni giorno vengono messi in queste diaboliche macchinette che statisticamente assicurano una perdita certa al giocatore abituale) solo quando il problema era già scoppiato. Le dimensioni del fenomeno, in Italia, sono gigantesche.
Al netto della polemica scoppiata nelle ultime settimane, con la sacrosanta richiesta dei sindaci di aumentare la tassazione sul gioco a difesa della prima casa, lo spartiacque etico che il problema pone mette al centro le libertà individuali ed è evidente: lo Stato, pur riconoscendo l’esistenza di una patologia, non ritiene eticamente sbagliato incassare delle tasse sul gioco. Ritenendo, invece, eticamente sbagliato privare un cittadino della libertà di giocare, nella totale consapevolezza che le slot machine, soprattutto nei casi patologici, gli faranno perdere un mucchio di soldi.
Lo stesso ragionamento, mutatis mutandis, lo si potrebbe fare con le sigarette: fanno male, ve lo diciamo, ma sta alla vostra libertà decidere se fumare o meno. Lo Stato regolamenta il settore, controlla che i prodotti immessi sul mercato aderiscano a determinati standard, e ci incassa sopra profumate tasse.
Applicando lo stesso ragionamento sulla marijuana le conclusioni a cui si arriva sono profondamente diverse. Lo Stato, in Italia (a differenza di ciò che sta avvenendo in Colorado, in Uruguay, di quanto avviene in Olanda e, in una certa misura, in Spagna) non ritiene eticamente giusto portare al proprio interno un prodotto che fa male alla salute delle persone con due effetti vistosi: uno etico, impedire ad un cittadino la libera scelta di farsi delle canne, uno economico, lasciare alla criminalità organizzata proventi che potrebbero trasformarsi in posti di lavoro puliti ed entrate per l’erario.
Perché? Le obiezioni di tipo medico, sociale ed economico a questo punto di partenza a me sono sempre sembrate piuttosto deboli.
Il punto centrale rimane il tabù. Ed è, come sempre, solo un problema culturale.