La strage dell’Heysel, il mio calcio è cominciato lì
Che brutto modo per iniziarsi al calcio. Forse ci sono persone più titolate di me per parlare dell’Heysel: feriti, superstiti, testimoni. O anche chi, davanti alla televisione, aveva un po’ più d’esperienza o di cervello per capire quello che stava succedendo: il 29 maggio 1985, prima di una finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool morirono 39 tifosi, quasi tutti italiani. Vittime di una violenza cieca e delirante e di un capolavoro di inefficienza e disorganizzazione.
Io avevo sei anni, e la tragedia dell’Heysel è il mio primo ricordo ‘pubblico’, che tiene insieme sia il calcio sia una grande sciagura. Da quando esiste la tv, diciamo da quelli che oggi hanno poco meno di sessant’anni in poi, ognuno ha un primo ricordo di un evento ‘pubblico’: chi si ricorda l’uccisione di Kennedy, chi lo sbarco sulla luna, chi l’omicidio di Moro o di Falcone. Provate a pensarci. Ognuno ha il suo e quasi sempre e’ uno di quei fatti che hanno, nel bene o nel male, segnato un’epoca.
E questo non perché i bambini abbiano un maggior ‘senso della notizia’, ma perché di fronte alla tv, anche se non si capisce bene quello che succede, si percepisce uno stato di tensione di chi commenta quelle immagini e di chi ci sta accanto. Ci si affaccia timidamente, per la prima volta, al mondo degli adulti. Si prova a capire e a chiedere il perché di cose che spesso un perché’ non ce l’hanno.
Come quella drammatica notte di maggio a Bruxelles. Era una partita, ok, una partita. La partita dell’anno, forse. La finale della coppa dei campioni. Il calcio, in qualche modo, nella mia vita c’era già entrato, l’avevo già visto, avevo già provato a rincorrere un pallone. Ma tutta quella gente, quel casino, quei morti, quei feriti, che diavolo potevano entrarci con il pallone?
La Juventus di Boniek e Platini, allenata da Trapattoni, affrontava in finale il Liverpool che era arrivata fin li’ strapazzando le avversarie. La Uefa aveva scelto per giocare la partita dell’anno uno stadio vergognoso, l’Heysel, appunto, che adesso e’ stato rifatto e intitolato a re Baldovino. Muretti cadenti, strutture fatiscenti, recinzioni pericolanti, mancanza di vie d’uscita, un disastro.
Ma non basta. L’organizzazione divide lo stadio in settori: da una parte i temibili, ferocissimi hooligans del Liverpool, spauracchio d’Inghilterra e rifugio alcolico e disperato di tutti gli sfigati della Gran Bretagna tatcheriana dei ruggenti eighties e del s’arrangi chi può. Dall’altra gli ultras bianconeri. Qualche violento c’era anche li’, chiaro. Succede peroò che una parte consistente di tifosi, quelli non organizzati, quindi quelli più tranquilli, padri di famiglia, gente di mezz’età, trovi posto in un settore vicino alla gabbia degli hooligans di Liverpool, nel famigerato ‘settore Z‘. Primo capolavoro dei belgi.
Gli hooligans hanno tutto il giorno per riempirsi di birra, per fare casino nel centro di Bruxelles, sottovalutati dalla polizia belga. Quando entrano allo stadio sono in un altro mondo e si trovano accanto un gruppo di tifosi avversari, separati da un paio di vigili urbani e da una rete da pollaio che alla prima carica va giù. L’orda si abbatte nel settore Z, gli occupanti, ovviamente, non rispondo alla carica e si ritirano da una parte, crolla un muro e chi cerca rifugio nel terreno di gioco viene caricato dalla polizia che intervenne a sedare i facinorosi solo mezz’ora dopo: secondo capolavoro dei belgi.
Ma la partita si deve giocare. Perché? Boh. ”Al 99,9 per cento – ha raccontato Zibi Boniek – sapevamo tutto: dei morti, della dinamica, della cappa esplosiva che gravava sullo stadio. Noi non volevamo giocare. E il Liverpool neppure. Ce lo ordinarono. Ci dissero che, se non fossimo scesi in campo, sarebbe stato peggio. I telefonini non esistevano, e molti degli juventini sugli spalti, loro sì, non avevano idea di quante fossero le persone morte ammazzate nel settore Z. Uno dell’Uefa mi fece: se vi rifiutate, lo impareranno”.
Partita, ovviamente bruttissima. Vince la Juve con un rigore fischiato a Boniek per un fallo due metri fuori area. Trasforma Michel Platini, all’epoca non pasciuto capoccia del calcio, ma poeta del pallone, che poi si lascerà anche andare ad una contestatissima esultanza. Si è giocato – si disse – per evitare la guerra civile, ma alla fine ci saranno 39 morti e 600 feriti.
Gli inglesi saranno squalificati per cinque anni dalle Coppe Europee, su proposta del governo di Londra. Gli hooligans ne combineranno altre, soprattutto all’estero, ma l’Inghilterra dichiarerà loro guerra: pene severissime, telecamere a circuito chiuso, violenti sbattuti in galera, stadi completamente rifatti. Adesso gli stadi inglesi sono posti tranquilli, dove le famiglie portano i bambini. E quando nei templi del calcio italiano, nonostante tutte le leggi che sono state varate, si sentono scoppiare le bombe, non rimane che invidiare uno Stato che aveva problemi infinitamente più grossi e che li ha risolti.
Il calcio, senza morti, senza feriti, senza scontri, senza armi è molto più bello. O almeno questa era la conclusione a cui credeva di esser giunto quel bambino che dall’Heysel, attraverso la tv, si era affacciato al mondo degli adulti.