21
Nov
2013
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Il calcio storico fiorentino, l’invenzione della tradizione

   Ma il calcio, chi l’ha inventato? Credo che oggi nessuno abbia davvero più un dubbio sul fatto che la patria del nostro amato gioco sia l’Inghilterra. Il calcio, oltre che uno sport, è un fenomeno sociale contemporaneo europeo, che cresce e che si sviluppa a braccetto con la rivoluzione industriale: l’Inghilterra li esporta entrambi, di pari passo.

   Eppure c’è chi pensa che il calcio, o almeno un antenato del calcio, sia nato a Firenze, come dimostrerebbe il calcio storico fiorentino, ovvero le partite rievocative che nel giugno di ogni anno si svolgono, ordine pubblico permettendo, in piazza Santa Croce, mandando in visibilio i turisti americani e giapponesi e un nugolo di iper appassionati locali.

   Il calcio storico fiorentino, però, non è nient’altro che l’invenzione di una tradizione, che ha radici storiche fragilissime: la sua storia ci dice poco o niente su come si sia sviluppato il gioco del pallone, ci dice molto di più, sul rapporto che fra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta del Novecento si era sviluppato fra un fascismo che cercava di normalizzarsi e di attirare consenso e le tradizioni popolari italiane che hanno permanenze spesso secolari e che mal si conciliano con politicizzazioni forzate, di ogni tipo.

   Il fascismo, fin dalla sua nascita, ha una vocazione nazionalista e unificatrice. Una tendenza che mal si concilia con i mille campanili, i mille particolarismi, le mille usanze di cui è ancora fatta l’Italia e che in quegli anni era molto più accentuata: non esisteva la televisione, il tasso d’istruzione era molto basso e nelle campagne, soprattutto nel Meridione, la permeabilità della politica era molto bassa.

   Gli storici che hanno studiato la mentalità degli italiani sotto il fascismo, come Francesco Iovine, ci raccontano, ad esempio, che l’adesione popolare alle feste nazionali fasciste era all’insegna della freddezza, quando non alla totale estraneità della gente che si riconosceva, invece, nelle feste religiose, in quelle del Santo Patrono, nelle feste dell’Uva, del Grano, del Maggio, riti e tradizioni di lunghissima durata.

   Il fascismo, dopo un primo tentativo di stroncare queste feste a vantaggio di quelle nazionali, capisce che deve trovare un compromesso: le feste del Santo Patrono non si possono eliminare e la tendenza unificatrice, dal punto di vista del consenso, non paga. Per questo decide di far rientrare il localismo dalla finestra , cercando di smussare, ove possibile, gli aspetti sgraditi delle feste tradizionali e cercando di creare un folclore con richiami alla tradizione, ma dagli accenti smaccatamente fascisti.

   E’ in questo contesto che il fascismo capisce che deve impegnarsi per reinventare la tradizione, passaggio fondamentale per non perdere di vista il contatto con la periferia. E se l’operazione di mettere in camicia nera il Palio di Siena riesce poco (il Palio ha una tradizione antichissima, ritmi immutabili, appartenenze rigorose, stilemi politici che sfuggono completamente ad una concezione moderna), in altre città il gioco riesce con un certo successo.

   Nascono così in questi anni la regata storica delle gondole a Venezia, il gioco del Ponte a Pisa (inventato di sana pianta nel 1935), la giostra del Saracino ad Arezzo (basato su un documento chissà come ritrovato nella biblioteca cittadina).

   A Firenze si compie la medesima operazione. Ne è il protagonista indiscusso Alessandro Pavolini, ras della città, nonché uno dei politici più intelligenti della giovane classe dirigente fascista. Sarebbe stato lui stesso a scrivere, di suo pugno, il regolamento del gioco.

   Oggettivamente l’idea di Pavolini è piuttosto brillante. Firenze è una città carica di storia e i secoli precedenti sono stati raccontati per filo e per segno da decine di cronisti che hanno annotato praticamente tutto. Con il calcio storico si va a pescare in una cultura che è antica e modernissima al tempo stesso (la Fiorentina e’ nata nel 1926 e il calcio si sta diffondendo in maniera rapidissima e travolgente). E in più si riesce a far passare un messaggio nazionalistico e xenofobo: ”ma quali inglesi? Il calcio è nato in Italia, il calcio è nato a Firenze”. Un piccolo capolavoro.

   Ci si mette quindi alla ricerca di uno straccio di documentazione: giochi con la palla, nel Medioevo, si svolgevano in tutta Europa. I fiorentini, grandi mercanti e viaggiatori, importano una di queste usanze da chissà quale latitudine, ma probabilmente solo sul finire del Quattrocento il gioco si diffonde, in qualche modo, a Firenze.

   La scintilla a cui i solerti ricercatori fascisti si attaccano e’ una testimonianza cinquecentesca: nel 1530, quando la città era assediata dalle truppe di Carlo V che di li’ a poco metteranno per sempre fine alle libertà repubblicane, si racconta che i fiorentini, in segno di scherno e noncuranza, si misero a giocare a palla in piazza Santa Croce di fronte agli assedianti.

   Tanto’ basto, nel quarto centenario della ricorrenza, per metter su una rievocazione che si è trascinata fino ai giorni nostri. Divisa la città in quattro quartieri senza né identità né appartenenza, le partite dei calcianti, con un regolamento più simile al rugby che al calcio, si sono spesso trasformate in zuffe, risse e regolamenti di conti, tanto da far sospendere i tornei nel 2007 e nel 2008 ed apportare pesanti modifiche al regolamento per costringere i giocatori a tenere comportamenti più urbani.

   Un gioco, insomma, che può essere anche divertente, ma che con la Firenze del Cinquecento, con l’assedio di Carlo V, con il calcio inglese dell’Ottocento e con i suoi più illustri eredi del ventunesimo secolo non ha veramente quasi niente a che fare.

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