Aleksey Klimenko, che vinse la partita con la morte
Un difensore, due difensori, tre difensori, tac, tac, tac, poi anche il portiere, tac. Eccola là, forse una delle serpentine piu’ belle della storia del calcio. Anche se non l’ha vista quasi nessuno. O meglio, quelli che l’hanno vista, per un motivo o per un altro hanno preferito non raccontarla.
E anche per questo che si è un po’ persa la memoria di Aleksey Klimenko, formidabile stella della Dinamo Kiev, l’uomo che con un pallone fra i piedi si è preso gioco della morte, l’uomo che con quella serpentina la morte l’ha trovata. Quelli che aveva dribblato erano meno ironici di lui, gli piantarono una scarica di mitra nella schiena e lo buttarono giù dal burrone ucraino di Babij-Jar, dove durante la seconda guerra mondiale furono gettate, più o meno, 100mila persone.
E’ il 9 agosto 1942 e a Kiev e’ una bellissima giornata di sole. Quel giocatore tracagnotto e un po’ sgraziato balla con il pallone, salta come birilli tre difensori grandi, grossi e biondi, prende in giro il portiere, arriva sulla linea di porta e si ferma e si volta. Guarda il pubblico assiepato nello stadio Zenit di Kiev e anziche’ appoggiare il piu’ semplice dei gol rispedisce il pallone con un calcione verso la meta’ campo. La partita finisce lì, e anche la storia della Start, una squadra che cercava la libertà, ma trovò la morte su un campo da calcio.
Ma andiamo con ordine. E’ il settembre del 1941 e per le strade di Kiev passeggia pasciuto Joisf Kordik, mezzo ucraino mezzo tedesco, di professione panettiere. Personaggio di dubbia moralità, incline al compromesso e con uno spiccato senso degli affari. Buon commerciante, lo chiamano gli ufficiali delle Ss che stanno occupando la capitale ucraina, viscido collaborazionista lo definisce la maggior parte dei suoi concittadini nel vederlo non dico arricchirsi, ma campare bene in una città dove la quasi totalità della popolazione è ridotta alla fame e provata dagli stenti dei campi di lavoro.
Non fanno eccezione i calciatori della Dinamo e della Lokomotiv Kiev. E quando il nostro Josif incontra per strada Nikolaj Trusevich, portiere della Dinamo, un monumento vivente, coperto di stracci, divorato dalla fame, il suo cuore di tifoso cede a quello del mercante: lo ripulisce, lo sfama, gli dà un lavoro clandestino nella sua panetteria. Ad averci uno così in casa gli balza in testa un’idea, mettere insieme una squadra di calcio, per strappare alla miseria più nera le glorie del calcio nazionale. E così ne scova undici, li assume tutti nella sua panetteria e mette in piedi la Start.
Ma visto che è inutile avere una squadra così e non farla giocare, il nostro improvvisato impresario calcistico va dai suoi amici nazisti e li convince a metter su un mini campionato. Nella Kiev del 1942 organizzare squadre di calcio non è semplicissimo, ma alle divise grigie pare proprio una buona idea: la gente, distrutta dalla fame e dagli stenti con un montante odio antitedesco, avrà qualcosa con cui distrarsi.
Al campionato ucraino si iscrivono sei squadre: tre messe insieme alla meglio fra tedeschi e alleati, prigionieri rumeni e soldataglie ungheresi, una, fra i collaborazionisti ucraini, la mitica Start e la fortissima Flakelf, la squadra della Luftwaffe, ovvero l’aviazione tedesca.
Il campionato comincia. I giocatori della Start saranno anche debilitati ed emaciati, ma sono pur sempre dei campioni ed asfaltano senza problemi tutte le avversarie. La gente comincia ad appassionarsi ed a vedere in questa squadra in maglia rossa un sogno di libertà.
Fino a che, il 6 agosto 1942 non arriva la partita con la Flakelf. I gerarchi nazisti sono sicuri che i ragazzoni dell’aviazione non possano perdere contro i malnutriti ribelli ucraini, ma si sbagliano di grosso: 5-1 e a casa.
Ma la forza d’occupazione, i dominatori dell’Ucraina, a perdere non ci stanno e di lì a tre giorni, domenica 9 agosto 1942, fissano la gara di ritorno, cambiano in corsa regole ed etichetta, che tanto siamo in guerra. La Start (a cui oggi e’ intitolato quello stadio), prima della partita, riceve la visita di un ufficiale delle Ss che intima loro di comportarsi da buoni sparring partner e lasciar vincere i calciatori in divisa. E quando Klimenko e compagni si ritrovano quello stesso ufficiale ad arbitrare la partita in uno stadio quasi tutto occupato dai tedeschi capiscono che c’è qualcosa di pericoloso nell’aria.
Avrebbero potuto perdere con onore e portarsi a casa la pelle. Ma erano tutti troppo ucraini, troppo comunisti e troppo innamorati del pallone per permettere a quella squadra senza immaginazione e senza talento di battere la leggendaria Start. Andarono in vantaggio con tre gol uno dietro l’altro, ma tale era la pressione che, con l’aiuto dell’arbitro, i nazi riuscirono a pareggiare.
Nella ripresa la Start segna altre due volte. E poco importa se nell’intervallo un altro ufficiale tedesco, ancora meno accomodante, avesse fatto capire le conseguenze se la Luftwaffe avesse perso: la gente di Kiev li amava, sperava in loro e, con loro, in un mondo migliore.
Quando mancano dieci minuti alla fine Klimenko ci mette la sua firma, con q
uella serpentina e quell’affronto che fanno capire all’arbitro che è meglio chiudere lì quella partita. Che intanto la Start, nonostante le sofferenze e la malnutrizione della guerra, su quel campo non avrebbe perso mai.
Qualche giorno dopo agenti della Gestapo li arrestarono, li portarono al famigerato campo di Siretz e li sottoposero ad indicibili torture. E nel gennaio del 1943, dopo un’azione dei partigiani, decisero di fucilarne un po’ per rappresaglia. Morirono cosi’ la talentuosa ala Kuzmenko, il portierone Trusevich e il grande Aleksey Klimenko.
Solo molti anni dopo, i pochi sopravvissuti, troveranno il coraggio di raccontare quella storia, temendo di essere accusati di collaborazionismo solo per aver giocato quella partita di calcio contro la morte per amore della la libertà.
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